Responsabilità professionale medici

Responsabilità professionale del medico …dalla parte del medico!
E’ noto che negli ultimi anni vi è stato un incremento esponenziale delle controversie tese ad individuare una responsabilità professionale del medico nonchè delle denunce in sede penale, tutte azioni tese ad ottenere un risarcimento del danno nei confronti dei medici, delle strutture sanitarie e delle compagnie assicuratrici.
Tuttavia, a fronte delle enfatiche notizie di stampa, sono in maggioranza in casi in cui tale responsabilità viene esclusa, in particolare nelle controversie di natura penale. Ciò chiaramente è nella natura delle cose atteso che spesso talune denunce si rivelano strumentali, ma è dovuto anche ad una efficace, attenta e completa difesa in giudizio.
Il decreto legge 158/2012 conv. in legge 189/2012 ( c.d. Balduzzi) ha provato a dettare delle regole certe in materia di responsabilità professionale ma ad oggi l’interpretazione giurisprudenziale non appare consolidata. Nell’intento di diminuire il contenzioso è all’esame del parlamento anche un disegno di legge sulla responsabilità professionale dei medici.
Occore all’uopo precisare che ai fini della individuazione di una responsabilità penale occorrerà attenersi al principio sancito dalla Suprema Corte secondo cui detta responsabilità dovrà essere accertata “oltre ogni ragionevole dubbio”; diversa invece l’individuazione della responsabilità in campo civilistico che dovrà accertarsi secondo la regola del ” più probabile che non”
La probabilità, va valutata con riferimento a tre elementi: 1) regolarità statistica; 2) probabilità dell’evento (prova prevalente – più probabile che non); 3) verosimiglianza (cioè elevato grado di credibilità razionale).
Secondo quanto statuito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 23059/09, in particolare riferimento al nesso di causalità, affinchè l’evento possa dirsi conseguenza dell’omissione è necessario qualcosa di più del grado di certezza garantito dal principio del più probabile che non.
In un passaggio della stessa, si legge che il nesso di causalità può essere riconosciuto anche in base ad un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, che pero deve essere “qualificata” da ulteriori elementi idonei a tradurre in certezze giuridiche le conclusioni astratte svolte in termini probabilistici ( nello stesso senso Cass. Civ. 22894/05)
In altri termini (vedi Cass. n. 14759 del 2007) il nesso causale può essere ritenuto sussistente non solo quando il danno possa ritenersi conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne sia conseguenza altamente probabile e verosimile, non già una mera possibilità astratta.
La Corte rileva dunque la inidoneità degli indici probabilistici ( alla base del principio del più probabile che non) che devono essere necessariamente supportati da elementi concreti ed ulteriori che siano idonei a tradurli in certezza giuridica.
Ne consegue che non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità la conferma, o meno, dell’ipotesi dell’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile.
La conclusione è che la condotta del medico deve essere stata condizione necessaria dell’evento lesivo, con elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica e deve risultare giustificata e processualmente certa all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l’esistenza di fattori alternativi.
La sussistenza del rapporto causale, pertanto deve escludersi se, malgrado il compimento dell’azione attesa, il risultato si sarebbe verificato ugualmente.
Per costante giurisprudenza, la limitazione di responsabilità del medico ai soli casi di dolo o colpa grave, è regola applicabile esclusivamente alla perizia (attitudine in base alla quale deve essere valutato il grado di difficoltà tecnica nella soluzione della patologia) e non all’imprudenza e alla negligenza, delle quali il medico è sempre chiamato a rispondere (Cfr. Cass. Civ., sez. III, 01.02.2011, n. 2334, conf. Cass. Civ., sez. III, 19.05.1999, n. 4852). Ne consegue che, anche nei casi di speciale difficoltà, tale limitazione non sussiste con riferimento ai danni causati per negligenza o imprudenza. (Cassazione civile sez. III, 12 marzo 2013, n. 6093)
La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che: “Il medico che operi all’interno di una clinica privata, ne sia o meno dipendente, ha sempre il dovere di informare il paziente di eventuali carenze o limiti organizzativi o strutturali della clinica stessa; ove ciò non faccia, egli risponde in solido con la clinica del danno patito dal paziente in conseguenza di quel deficit organizzativo o strutturale, ove possa presumersi che il paziente, se correttamente informato, si sarebbe avvalso di altra struttura sanitaria”. (Cassazione civile sez. III, 17 febbraio 2011 n. 3847)
La Suprema Corte di Cassazione ha recentemente statuito che la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonché un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute. (Cassazione civile sez. III, 16 maggio 2013, n. 11950)
Infatti, l’acquisizione del consenso informato del paziente, da parte del sanitario, costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l’intervento terapeutico, di talchè l’errata esecuzione di quest’ultimo dà luogo ad un danno suscettibile di ulteriore e autonomo risarcimento rispetto a quello dovuto per la violazione dell’obbligo di informazione, anche in ragione della diversità dei diritti – rispettivamente, all’autodeterminazione delle scelte terapeutiche ed all’integrità psicofisica – pregiudicati nelle due differenti ipotesi. (Cassazione civile sez. III, 13 febbraio 2015 n. 2854)
Più in generale, il medico è tenuto a curare la completezza della cartella clinica del paziente, in quanto il giudice può ritenere dimostrata l’esistenza di un valido legame causale fra l’operato del medico ed il danno patito dal paziente quando l’incompletezza della cartella clinica non abbia consentito di accertare il nesso eziologico ed il professionista abbia posto in essere una condotta astrattamente idonea a causare la lesione (Cass. n. 12218/2015).
La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che “la difettosa tenuta della cartella clinica non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta del medico e le conseguenze dannose sofferte dal paziente, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocare il danno, ma consente anzi il ricorso alle presunzioni, assumendo rilievo, al riguardo, il criterio della «vicinanza alla prova», cioè della effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla”. (Cass. Civ., sez. 03, del 27/04/2010, n. 10060)
Infatti, “le omissioni nella tenuta della cartella clinica al medesimo imputabili rilevano sia ai fini della figura sintomatica dell’inesatto adempimento, per difetto di diligenza, in relazione alla previsione generale dell’art. 1176 comma 2 c.c., sia come possibilità di fare ricorso alla prova presuntiva, poiché l’imperfetta compilazione della cartella non può, in linea di principio, tradursi in un danno nei confronti di colui il quale abbia diritto alla prestazione sanitaria”. (Cassazione civile sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1538)
In ordine invece alla responsabilità delle strutture sanitarie la giurisprudenza afferma che “La struttura sanitaria privata conclude necessariamente col paziente che ad essa si rivolga un contratto atipico (c.d. “contratto di spedalità” o “di assistenza sanitaria”), in virtù del quale la prima si obbliga a fornire al secondo una adeguata prestazione di contenuto sanitario. Ne consegue che per effetto di tale contratto la clinica è direttamente responsabile nei confronti del paziente che abbia patito un danno in conseguenza di un deficit organizzativo della struttura sanitaria, come pure in conseguenza di un errore del personale medico o paramedico …” (Cass., S.U., 11 gennaio 2008, n. 577)
Ne consegue che la responsabilità della struttura sanitaria ha natura contrattuale sia in relazione a propri fatti d’inadempimento sia per quanto concerne il comportamento in particolare dei medici dipendenti, trovando nel caso applicazione la regola posta dall’art. 1228 c.c., secondo cui il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro, ancorché non siano alle sue dipendenze.
Di conseguenza, la giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che il ricovero di un paziente in una struttura (pubblica o privata) deputata a fornire assistenza sanitaria avviene sulla base di un contratto tra il paziente stesso ed il soggetto gestore della struttura e l’adempimento di tale contratto, con riguardo alle prestazioni di natura sanitaria, è regolato dalle norme che disciplinano la corrispondente attività del medico nell’ambito del contratto di prestazione d’opera professionale, con la conseguenza che il detto gestore risponde dei danni derivati al paziente da trattamenti sanitari praticatigli con colpa, alla stregua delle norme di cui agli artt. 1176 e 2236 c.c…
Tali principi giurisprudenziali andranno comunque applicati caso per caso al fine di individuare quegli elementi che in effetti possano sollevare il professionista medico da responsabilità laddove l’evento sia legato alla obiettiva incertezza delle scienza medica ( escludendo i casi negligenza ed imprudenza, molto più rari di quanto si possa pensare).
In effetti, alla luce delle statistiche, sono più i casi in cui è possibile escludere la responsabilità del medico o della struttura, rispetto a quelli in cui detta responsabilità ricorre effettivamente.
Ma occorrerà una analisi completa e dettagliata dei fatti, con l’ausilio di un attento medico legale che abbia precise competenze anche nella disciplina di riferimento del caso in esame.
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